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Manuela Barone
Il campionato nazionale HomeBrewing a PalermoPDFStampaE-mail
Venerdì 18 Novembre 2011 22:30
Scritto da Manuela Barone


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NazionaliHB2011 1Manuela BaroneL’uomo e la donna, che bevono birra, hanno un’aura diversa rispetto a quella di chi beve vino. Più scanzonata, meno “formale”, più rilassata. Ho avuto modo di fare considerazioni come questa una decina di giorni fa, il trenta ottobre per essere precisi. Sempre in compagnia del mio fido e rilassatissimo assistente Sergio, ho esplorato il mondo di chi la birra non solo la beve, ma la produce anche e che in un prodotto come la birra artigianale, comunque di nicchia, ci ha creduto e scommesso.

L’occasione è stata la seconda edizione del Campionato Nazionale degli Homebrewers che, come quinta tappa di questa gara itinerante, ha scelto Palermo, nella sede di Oliver, noto winebar e ristorante in via Libertà, in contemporanea con la presentazione di tre birre alla spina: una 24K, una Apa e una Triple, di cui vi parlerò dopo. In genere, pensando alla birra, l’immagine che quasi tutti associamo è quella della bottiglia fredda, freddissima, acquistata al volo a pochi euro da un ambulante, o in un pub, per soddisfare la nostra sete. Oppure da bere in casa, alle feste con gli amici. Nonostante da diversi anni ormai, ci sia una maggiore consapevolezza dello spessore e dell’importanza di questa bevanda, che come il vino si presta a degustazioni e abbinamenti con il cibo, tuttavia permane un’ignoranza media ancora abbastanza diffusa e difficile da eradicare. Quanti di noi sarebbero in grado di riconoscere una Saison o una Gueuze?

Bevanda antichissima, pare che la birra trovi le sue origini circa cinque mila anni prima di Cristo, sia come bevanda rituale da offrire agli dei che come parte integrante dell’alimentazione quotidiana, fra quelle popolazioni della Mezzaluna fertile dedite alla coltivazione dei cereali, per poi giungere agli Etruschi che la fecero conoscere ai Romani, anche se per i più era una bevanda "pagana e plebea" al confronto del "divino e nobile" vino. A quei tempi, però, la birra era molto diversa da come la conosciamo oggi, poiché non erano state ancora scoperte le proprietà del luppolo. Poi arrivarono i Barbari, e con loro anche quanto sapevano in fatto di questa bevanda. In epoca medievale furono i monaci a far raggiungere alla birra elevati standard qualitativi proprio all’interno dei monasteri, in Belgio e in Germania soprattutto, ma anche a Montecassino, che fu uno dei primi monasteri a produrre birra in Italia e forse la prima birra d’abbazia nel mondo, tra il 529 e il 543. A cavallo dell’Anno Mille una religiosa tedesca, studiosa di botanica, introduce alle virtù del luppolo, tanto che, nel 1516, Guglielmo IV di Baviera vara “L’Editto di Purezza”: per la birra dovranno essere usati solo acqua, orzo e luppolo. Prima del luppolo infatti si utilizzavano vari aromatizzanti, dalle spezie fino alle erbe aromatiche, passando addirittura per il fieno di bue!!! Aromatizzanti che continueranno ad essere utilizzati a lungo, eccetto che in Baviera, dove già vigeva l’editto e vige ancora oggi. I birrai fiamminghi sono noti per il loro rigore e per il loro essere dei tradizionalisti. Per loro infatti la birra, per essere chiamata tale, deve seguire un’unica ricetta con ingredienti prestabiliti, sempre gli stessi dai tempi dell’editto. In tempi moderni nascono i colossi industriali come Guinness, Heineken e le italiane Dreher, Peroni, Moretti, Wuhrer, Forst, Menabrea. Nel 1817 nasce la macchina per la tostatura del malto e in seguito altre, sempre con lo scopo di migliorare il processo produttivo. Nel 1860 il fondatore della Carlsberg, la nota azienda danese, identifica un ceppo puro di lieviti che da allora hanno contribuito non poco ad unificare gli standard qualitativi.

NazionaliHB2011 2La giuria al lavoroFortunatamente, al di là degli standard, ogni paese mantiene quello zoccolo duro di “piccoli” birrai che interpretano a proprio modo e gusto gli stili della birra, anche con piccole produzioni, sfuggendo all’omologazione imposta dalle grandi aziende. Come per il vino, ciò che mi affascina della birra è come da pochi e semplici ingredienti, acqua, malto e luppolo possa nascere una bevanda sempre diversa, sempre nuova. Il malto, che se non specificato è sempre di orzo, è il cereale germinato ed essiccato, che solo in questo modo riesce a degradare le lunghe catene di amido in zuccheri più semplici che i lieviti possono trasformare, durante la fermentazione, in alcool etilico e anidride carbonica. Probabilmente, senza Pasteur ed i suoi studi sulla fermentazione, oggi non avremmo le bollicine! Il luppolo appartiene alla famiglia delle cannabinacee ed è una pianta rampicante che arriva fino a cinque metri di altezza. Come già detto prima, la sua introduzione nella ricetta della birra, ha apportato delle modifiche fondamentali, sia nel gusto, perché ci sono luppoli cosiddetti “amaricanti” e altri “aromatici”, sia nella conservazione. Prima della sua introduzione infatti c’erano notevoli problemi sia nella conservazione che nel trasporto, problemi risolti grazie alle proprietà antiossidanti e batteriostatiche del luppolo. Dunque, si capisce subito come una buona birra non può prescindere dalla scelta degli ingredienti, a maggior ragione se un birraio vuole produrre birra seguendo un determinato stile. Di base però c'è sempre la tecnica, i passaggi da seguire sono rimasti gli stessi attraverso i secoli: macinare il cereale, farlo diventare mosto per attivare gli enzimi del malto, filtrare, bollire e aggiungere il luppolo. In seconda fase si ossigena il mosto per permettere ai lieviti di riprodursi, poi si filtra, stabilizza ed eventualmente si pastorizza.

Le birre industriali sono tutte filtrate e pastorizzate, preferibilmente prima del confezionameno in fusto (la cosiddetta pastorizzazione “Flash”). Questo passaggio, insieme alla filtrazione, è rigorosamente vietato per una birra che vuole definirsi artigianale, specialmente in Italia. In questo modo i lieviti, che con la filtrazione vanno persi, permangono, rendendo la birra artigianale un prodotto “vivo” nel senso stretto del termine! Dal 1996, anno in cui nascono i primi birrifici artigianali in Italia, il fenomeno per cui alcuni impavidi si lanciano nella produzione di una birra tutta propria, ha preso sempre più piede fino a contare, attualmente, circa 400 attività strette nel circuito Unionbirrai, nato sempre nel 1996, con lo scopo di diffondere la cultura della birra artigianale.

Francesca Bacile, titolare di Oliver, ha degustato le birre nella gara fra homebrewers in qualità di giurata. Accanto a lei sedeva Lorenzo Dabove, alias Kuaska, esperto di caratura internazionale di birre, Manuele Colonna, birraio romano proprietario del “Ma che siete venuti a fa” a Trastevere, vero e proprio tempio della birra, Marco Gianino (del birrificio ragusano Yblon) e Alessandro Picciotto, consulente per Spillo, brew pub recentissimamente nato a Palermo. Per ogni birra partecipante sono stati valutati l’aspetto, l’odore, gusto e retrogusto e infine il corpo, ossia quanto sapore di malto resta nella parte superiore della lingua dopo aver palleggiato un piccolo sorso di guancia in guancia. Voglio spendere qualche parola, come promesso all’inizio, sulle tre birre alla spina presentate durante il ricco e ottimo buffet che Oliver ha offerto al termine della degustazione. C'era la 24K di Brewfist, italiana prodotta con ingredienti tedeschi, leggermente amara alla fine (ma si sa, noi italiani con le birre amare abbiamo da sempre dei problemi!). C'era anche una American Pale Ale danese, con oli essenziali di luppolo che le conferiscono toni amaricanti, coperti però dal sapore erbaceo: davvero aggressiva per me, ma è una di quelle che non scordi. Infine c'era una Triple belga al malto di whisky, perfetta. Mentre la valutazione era in corso, invece, mi sono intrattenuta con grande piacere con Mauro Ricci, uno dei fondatori di Cerere, l’associazione locale che promuove a Palermo la birra artigianale, nonchè uno dei proprietari di Spillo. Mauro mi ha parlato della realtà dei birrifici italiani e di come questa sia in fermento anche nella nostra isola, del rigore fiammingo e dei luppoli americani e neozelandesi, della cultura dei lieviti in Belgio e di tante altre piccole storie, tenute dall’unico filo conduttore che è la passione per una bevanda che è fatta di storia, ma soprattutto di uomini.



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