Della riapertura di Palazzo Branciforte avvenuta l'anno scorso, si è scritto molto sin dall'inizio della sua ristrutturazione, avvenuta ad opera della Fondazione Banco di Sicilia. In esso è possibile trovare una collezione di reperti che spazia da quelli archeologici fino ai filatelici, tuttavia alcuni non sanno che esso è anche un importante avamposto della buona ristorazione palermitana. Oltre alla "Città del Gusto", scuola del Gambero Rosso, è presente, del tutto autonomo e per volere dell'imprenditore Giuseppe Giunta, un piacevole ristorante, sobriamente e modernamente arredato, benchè "contaminato" da antiche ceramiche, la cui cucina è stata affidata alla conduzione dello Chef Massimo Mangano, coadiuvato dai giovani e promettenti Andrea Accardi e Rosario Palazzolo. Conosco Massimo da alcuni anni e, come ho gia avuto modo di scrivere, da quando ha lasciato l'Hotel Centrale per il Branciforte, ho notato in lui una certa evoluzione e libertà di espressione che probabilmente, in precedenza, era stata come compressa dalle esigenze della cucina alberghiera. Alcune settimane fa, Massimo, ha espresso il desiderio di farmi provare alcune sue novità del menu invernale, difficile non accettare quest'invito ed in questo caso, molto facile soddisfare la mia curiosità così, lo scorso 9 Gennaio 2013, mi sono recato al Ristorante Branciforte.
Massimo Mangano, oggi sulla soglia dei 40 anni, vanta un'esperienza invidiabile, non solo grazie all'alta ristorazione alberghiera, ma anche alla militanza nel Culinary Team Palermo, partecipante di quelle gare internazionali che, solo chi ha passione e volontà di migliorarsi continuamente può sostenere, a prescindere dal risultato finale. I piatti che ho assaggiato durante la mia visita erano stati realizzati con una porzionatura, per me, abbondante, sicuramente in antitesi con l'alta cucina. Ben sei portate e tre (!) dolci che ho cercato di onorare al meglio, ma nel caso della cucina di Massimo, il cibo è risultato essere di una leggerezza insospettabile, e questo, lo sappiamo tutti, lo si vede molto bene all'indomani mattina di una cena così luculliana.
"Baccala Ràfols", che sarebbe un antipasto ma con velleità da primo/secondo, grazie alle sue buone dotazioni di carboidrati e proteine provenienti dagli ingredienti utilizzati. Il nome del piatto proviene dalla tipologia di pesce utilizzato; la Ràfols è un'azienda islandese che pesca merluzzi selvatici solo con amo, e poi li sala, sottoponendoli ad una lavorazione particolarmente accurata. Una straordinaria passata di ceci era stata resa ruvida dallo stesso legume, in versione intera, e quindi contornata da una quenelle di patata e baccalà, un trancino di baccalà saltato in padella, un altro con la pelle croccante ed una pallina dello stesso. In questo caso, il mare ha giocato a rimpiattino con la terra, ricordandomi un altro chef a me molto caro, Giocchino Sensale. Diverse le consistenze in primo piano: dal velluto alla croccantezza, il tutto, ovviamente, era campeggiato da un profumato rametto di origano fresco.
Il primo seguente, invece, mi ha ricordato lo stile di uno dei grandi della Cucina Italiana: Gualtiero Marchesi. Visivamente, il piatto degli "Gnocchi di patate e baccalà su nero di seppia", con l'irregolarita della macchia nera sullo sfondo bianco e giallo pastello della salsa, mi ha dato la stessa impressione di una macchia di colore, ed ecco l'inevitabile accostamento con l'opera del Maestro Marchesi, un po' artista e un po' cuoco; ho visto alcune sue realizzazioni dove il piatto non era altro che una bianca tela, da dipingere con la sua creazione. Gli gnocchi erano stati realizzati con la patata, resa finissima dalla tecnica di cottura sottovuoto, e quindi riempiti dal baccalà. I profumi di mare si mescolavano con quelli vegetali, sprigionatisi grazie alla tipologia di cottura, restituendo uno spettro olfattivo non comune e molto coinvolgente. La sapidità del nero di seppia, reso più rugged dalla presenza da un trito di seppioline, donava un tono marino a tutto il piatto regalando, per l'ennesima volta, una piacevole esperienza al degustatore.
Arrivato al secondo, il "Pesce al quadrato", cioè elevato a se stesso, mi ha parecchio incuriosito per la scelta di aggiungere la bacca di vaniglia, più che altro per dare profumazione. Sinceramente all'inizio non mi spiegavo con quale ingrediente del piatto si potesse ben combinare, poi mi sono accorto della stimolazione che ne ricevevo a livello olfattivo, ed ho capito. Questo piatto, inoltre, ha portato in primo piano un antichissimo legume ormai quasi dimenticato, forse perchè simbolo di quella povertà del dopoguerra che, per tanti anni, si è cercato di esorcizzare. Eppure, tralasciando le proprietà dannose della cicerchia a causa delle sue neurotossine, inoffensive non abusandone in quantità e tempi di assunzione, essa è un legume nutrizionalmente interessante, ricca di proteine di ottimo valore biologico, e dalle caratteristiche organolettiche particolari che la pongono tra il sapore dei ceci e quello dei fagioli. Il trancio di pesce era di razza "Occhialone", tipologia variabile, in base al pescato, nell'ambito del "quadrato", meglio noto tra i pescatori palermitani come "Mupa". Dalle carni bianche, sode, saporite, la cui perfetta cottura, stavolta effettuata in casseruola preservandone consistenze e sapori, si è rivelato essere un ottimo compagno della cicerchia. Arrivato al dolce, lo Chef si è lasciato letteralmente andare allestendo, in un unico piatto, ben tre dessert: la "Qasat no qasat", l' "Alì Pascià" (alla Mangano) e una "Tartare di Frutta con tartelletta al manderino". La "Qasat no qasat", dal nome arabo qas'at, era costituita da una ricomposizione della cassata, realizzata con due dischi di pan di spagna alle mandorle con nel mezzo una straordinaria ricotta, lavorata pochissimo con poco meno di 200 grammi di zucchero per chilo. Il tutto era impreziosito, ma soprattutto profumato, con una granella di Cioccolato di Modica che, dal profumo, presumo potesse trattarsi di un prodotto della Dolceria Bonaiuto. L' "Alì Pascià", libera interpretazione di Massimo Mangano dell'originale storico dolce inventato dai Cascino che io, peraltro, ho avuto il piacere di assaggiare, si è dimostrato all'altezza della situazione, grazie agli inserti di pan di spagna al cacao ed alla salsa al cioccolato ha ricreato lo stesso ambiente gustativo del famoso dolce, ma in modo diverso. Infine, la "Tartare di Frutta con tartelletta al mandarino", ha svolto l'importante funzione della pulizia del palato grazie alla freschezza del trito di fragola, delle fette di pera, ma anche all'aromaticità della crema al mandarino, sapientemente racchiusa in una piccola tartelletta, realizzata con una sorta pasta frolla dalla consistenza molto simile ad una pasta brisée, il cui contenuto si collegava benissimo al gelo di mandarino che decorava il piatto sottostante. Menzione speciale per gli ottimi oli extravergini a marchio Ristorante Branciforte, ma prodotti dall'azienda olivicola Sarullo di Ribera in provincia di Agrigento. Tra la Biancolilla e la Nocellara in purezza ho preferito la prima, per la sua estrema complessità fatta di mela verde, carciofo, foglia di pomodoro, note salmastre ed un estremo contenuto polifenolico, in perfetta antitesi con le Biancolille della Sicilia nord-occidentale. In conclusione, come è mia abitudine, esprimo sempre un parere sul piatto che mi è piaciuto di più, anche se stavolta è molto difficile dare una preferenza, ma almeno ci proverò citando il "Tutto tondo" ed la "Qasat no qasat", due piatti che, per motivi assolutamente diversi, mi hanno colpito parecchio. Del primo mi ha conquistato la crudità ed il gioco di erbe ed aromi, del secondo, invece, la sublime ricotta. Al Ristorante Branciforte, il prezzo medio di un pasto, senza vino, si aggira intorno ai 50 euro, costituendo un rapporto qualità-prezzo elevatissimo, soprattutto se si considera l'eccellenza delle materie prime e l'aspetto salutistico dei piatti, per non parlare dell'esclusivo ambiente del locale, fortemente impregnato di storia e di sobria raffinatezza.
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